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Acqua Madre Matrigna

9 Apr

Gli anni in tasca

Rassegna internazionale della produzione cinematografica sul tema dell’acqua.
Edizione 2008 “Acqua Madre Matrigna”
8-11 Maggio 2008, “Star City Cinemas” Rastignano (Bologna)

Il duplice aspetto dell’acqua come madre, che dà la vita e come matrigna che distrugge, è uno dei focus delle pellicole selezionate. L’attenzione all’ambiente, all’ecologia, al consumo critico dell’acqua, viene catalizzata attraverso immagini in movimento sul grande schermo cinematografico: racconti scritti con la pellicola o altri supporti che, di volta in volta, celebrano l’oscura magnificenza delle acque degli abissi marini, la preziosa riserva liquida in luoghi desertici, la carica inquinante delle nubi contaminate, sanciscono la misura della follia umana, nel riscaldamento globale del pianeta, denunciano l’avvenuta trasformazione dell’acqua in oggetto di scambi commerciali; numerose declinazioni artistiche per celebrare, nella bellezza e nell’orrore, questo elemento naturale, indispensabile alla sopravvivenza umana, animale e vegetale.

La prima edizione del Festival, che gode del patrocinio morale del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, si svolgerà dall’8 all’11 Maggio 2008 nel Comune di Pianoro (Bologna) e nel territorio della Comunità Montana Cinque Valli Bolognesi.
Direzione Artistica: Associazione Culturale “Gli Anni in Tasca”, Bologna.
In collaborazione con Cineteca Bologna, Associazione Culturale CaraCult, Rivista “FuoriVista”.
Nell’ambito del FinzFestival è indetto un concorso per il miglior cortometraggio legato al tema del festival: “Acqua Madre Matrigna”. Le opere dovranno essere presentate entro il 20 aprile 2008.

Eventi

Proiezioni mattutine per le scuole
Cinema Star City di Rastignano
INGRESSO LIBERO SU PRENOTAZIONE

Per informazioni e prenotazioni:
Catia Aliberti
Comune di Pianoro – Tel. 051 6528083
orari: giovedì 14.30-17.30 – venerdì e sabato 10.30-13.00 e 14.30-17.3
mail: infopoint@comune.pianoro.bo.it

Eroi dei videogiochi contro gli agenti tossici

9 Gen

Roma, Italia — Greenpeace arruola tre eroi dei videogiochi per chiedere ai giganti dell’elettronica – Sony, Microsoft e Nintendo – di eliminare le sostanze pericolose dai loro prodotti. Master Chief, Mario e Kratos lotteranno alla conquista di un futuro libero da composti chimici tossici. Greenpeace invita i fan dei videogiochi a unirsi alla nuova sfida per consolle più verdi.

Il settore delle consolle è cresciuto del 15 per cento nel 2006, registrando una vendita di ben 62,7 milioni di unità con un fatturato annuo di 21 miliardi di euro. Nintendo, Sony e Microsoft dominano il mercato rispettivamente con quote di mercato del 42, 40 e 18 per cento. Anche se questi prodotti includono componenti comuni ai PC – ma con livelli più bassi di inquinanti – i produttori non hanno raggiunto alcun progresso riguardo alla riduzione del carico tossico dei loro prodotti.

Alcuni giorni fa Greenpeace ha lanciato sul web il video “Clash of the Consoles: Battle for the Future”. È un video indirizzato agli amanti dei videogiochi dove Master Chief di Microsoft, Mario di Nintendo e Kratos di Sony competono per il prezzo di una consolle più verde. Nel sito i fan possono comparare le rispettive console in merito a contenuto tossico, riciclaggio ed efficienza energetica, oltre che sostenere quella preferita per spingerla a diventare verde.

Questa iniziativa è parte della campagna di Greenpeace volta a spingere l’intero settore dell’elettronica ad andare oltre l’attuale legislazione ed eliminare le sostanze pericolose contenute nei propri prodotti. Grazie all’Ecoguida ai prodotti elettronici, produttori di cellulari e computer hanno già fatto passi avanti a riguardo.

In testa alla lista di Greenpeace ci sono i ritardanti di fiamma bromurati e la plastica in PVC, il cui impiego negli articoli di consumo può portare a un loro accumulo nell’ambiente e nei tessuti animali. I lavoratori impiegati negli impianti di produzione, o in quelli di riciclo, potrebbero essere i soggetti più a rischio.

In paesi come Cina e India i bambini sono impiegati presso i cantieri di demolizione per smantellare a mani nude prodotti elettronici usati nei paesi ricchi. E i fan delle consolle non devono permettere che persone della loro stessa età ma di altri paesi possano soffrire per il loro intrattenimento. Per vedere il video cliccare sul banner

greenpeace

5xmille

Megattere “graziate” dal Giappone

4 Gen

megattera

Roma, Italia — Il governo giapponese “concede la grazia” alle megattere – specie a rischio di estinzione – ma non rinuncia alla “condanna a morte” di circa mille balene nel Santuario dell’Oceano Antartico. Anche quest’anno la nave di Greenpeace “Esperanza” è partita all’inseguimento della flotta baleniera giapponese. Con i gommoni pronti a sfrecciare per salvare le balene dagli arpioni.

Tutto il mondo chiede al Giappone di fermare il massacro delle balene praticato con la scusa della ricerca scientifica. La ricerca scientifica giapponese è un vero scandalo: in anni di caccia non ha mai prodotto un dato utile. Gli scienziati non hanno bisogno di uccidere le balene per studiarle.

La carne di balena non ha mercato. Un sondaggio pubblicato in Giappone nel giugno 2006 dal Nippon Research Centre mostra che oltre due terzi dei giapponesi intervistati disapprova la caccia baleniera in Antartide e che il 95 per cento non mangia mai, o solo raramente, carne di balena. E’ per questo che nei magazzini giapponesi sono ammassate circa 4.000 tonnellate di carne di balena invendute: hanno anche provato a usarla come mangime per cani!

La caccia baleniera mette a rischio l’attività del whale watching – la pacifica osservazione delle balene in mare – che ha un mercato mondiale di un miliardo di dollari l’anno. La gente ama osservare questi affascinanti animali da vivi. Di certo non fatti a pezzi dalle baleniere.

La nave Esperanza seguirà come un’ombra gli assassini di balene. Quest’anno a bordo ci sono tre attivisti italiani: Caterina Nitto (secondo ufficiale), Gianluca Morini (radio operatore), Simona Fausto (assistente cuoco).

Le balene valgono molto più da vive che da morte. Per questo Greenpeace ha lanciato una proposta per una rete di riserve marine che copra il 40 per cento dei mari del Pianeta, inclusa una proposta specifica nel Mediterraneo. Questa rete servirà a proteggere gli ecosistemi pelagici e quindi anche i cetacei.

mega2

Fonte 

greenpeace

I colori del Mare

27 Dic

mio canale

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La foresta non è più sola

2 Dic

 

La foresta non è più sola

Da un paio di giorni a questa parte la foresta argentina e tutti i suoi abitanti hanno un alleato in più. Si tratta del progetto di legge approvato dal senato, poi sarà la volta della Camera, che obbliga tutte le province del paese sudamericano a definire zone protette e a regolare le attività che gravitano intorno alla foresta, da quella agricola all’allevamento.

Buone nuove. Le buone notizie, però, non si fermano qui. La legge prevede anche la moratoria per un anno del disboscamento, fino a quando cioè non saranno ben delineate le aree da proteggere e non saranno decise le misure da adottare in futuro. La notizia ha fatto presto il giro dei paesi latino americani soprattutto perché in tutta l’area è considerata una vera novità. “C’è una legge simile in Paraguay, ma si riferisce solo ad alcune zone. In Brasile le aree protette sono solo il frutto di accordi fra governo e alcune imprese. In Cile, invece, è in discussione un progetto simile a quello argentino”, racconta Hernan Giardini, di Greenpeace. “In tutto il Sud America non esistono leggi dalle stesse caratteristiche” dice ancora Giardini che aggiunge: “Una moratoria totale dei permessi per disboscare in tutto il paese è una novità assoluta”.
La legge sembra essere arrivata al momento opportuno. Negli ultimi cento anni, infatti, in Argentina sono stati distrutti i due terzi delle foreste. E le cose negli ultimi tempi non andavano per il meglio. Secondo un calcolo della segreteria per l’Ambiente e lo Sviluppo Sostenibile ogni anno andavano distrutti 300 mila ettari di foreste. Al ritmo quotidiano di aree grandi come quaranta campi da calcio.

Il bastone fra le ruote. Nonostante la legge sia stata approvata con il benestare della maggioranza del Senato (presumibilmente avrà vita facile anche alla Camera) qualche resistenza è arrivata da parte dei rappresentanti delle province del nord del Paese, quelle dove si concentrano le foreste, maggiormente interessate dal provvedimento. Ma anche i più critici analisti si sono trovati in accordo con la misura, tanto che ne hanno elogiato anche l’aspetto sociale oltre a quello ambientale. La mancanza di controlli e il disboscamento indiscriminato avevano messo in serio pericolo le comunità indigene della zona, che basano il loro sostentamento sulla caccia e sulla raccolta dei frutti della foresta.

Ecosistema unico. “Siamo in una situazione d’emergenza. Non abbiamo molto tempo per costruire un ordinamento ambientale della zona, per proteggere la foresta. Corriamo il serio rischio che sparisca”, racconta Eugenia Di Paola, direttrice della Fundacion Ambiente y Recursos Naturales. “La foresta argentina è unica. E’ così da sempre. Per questo la nuova legge è un passaggio cruciale per proteggerla”, aggiunge la direttrice. Sicuramente l’esempio argentino farà da traino alle decisioni in materia ambientale che saranno prese in futuro da altri Paesi. Così i 30 milioni di ettari di foresta argentina protetta non si sentiranno soli.

Autore Alessandro Grandi

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l’Europa vive al di sopra dei suoi limiti ecologici

23 Nov

nuclear

Se tutti vivessero come un europeo ci vorrebbero 2,6 pianeti

ROMA
«L’Europa vive al di sopra dei propri limiti». Lo ha sottolineato Gianfranco Bologna, direttore scientifico del Wwf Italia nel corso di una conferenza internazionale organizzata oggi dal Wwf, Ocse e Club di Roma nella sede del Parlamento Europeo a Bruxelles. «Se tutti i cittadini del mondo vivessero come un europeo avremmo bisogno di 2,6 pianeti, per avere sufficienti risorse per tutti e poter smaltire i rifiuti prodotti». A leggere il Rapporto del Wwf «Europa 2007 – Prodotto Interno Lordo e Impronta Ecologica» diffuso oggi in occasione della conferenza, emerge, infatti, che in Europa sono pochi i paesi creditori ecologici e molti quelli debitori.

Il documento del Wwf ha valutato le performance dei singoli stati, tramite una sorta di contabilità ecologica, dove utilizza il Prodotto interno lordo (PIL) che misura la crescita di un paese, l’Impronta Ecologica che misura la pressione sull’ambiente e l’Indice di Sviluppo Umano, come variabili contabili per cui risulta che in Europa , negli ultimi 30 anni, dal 1971, i paesi del nord e del centro, con le economie in crescita, hanno raddoppiato la loro pressione sull’ambiente. Una pressione che crescendo ad un tasso superiore a quello della popolazione, sta creando un deficit di risorse naturali per il resto del mondo e per le future generazioni.

Secondo il Rapporto, solo Finlandia, Svezia e Lettonia sono creditori ecologici, avendo ancora a disposizione grandi riserve ambientali alle quali attingere, che sono però già sottoposte ad una crescente pressione. In Finlandia dove la pressione umana è cresciuta dal 1975 del 70%, è oggi più forte che in ogni altro paese membro. Più pesante la situazione in Germania, dove la pressione sull’ambiente è due volte e mezzo superiore a quello che consentirebbero le sue risorse naturali. Un cittadino tedesco ha un’impronta ecologica doppia rispetto alla media mondiale. Per quanto riguarda la Grecia e la Spagna, queste stanno attraversando una fase di crescita dei consumi, mentre la Francia segue il trend europeo ma grazie alle tecnologie riesce a aumentare la propria disponibilità di risorse naturali.

Nell’Europa orientale spicca l’Ungheria, dove l’«impronta ecologica sull’ambiente» dal 1991 è andata riducendosi dopo i cambiamenti avvenuti in seguito al crollo del regime sovietico. I cittadini sloveni, che nel 1995 praticavano una forma di sviluppo sostenibile, nel 2003 hanno raddoppiato la loro «impronta» pro-capite sull’ambiente, mentre lo sviluppo è cresciuto meno del 5%. Ed, infine, la Romania che è debitrice con la sua impronta ecologica più bassa rispetto agli altri 27 paesi membri.

Solo una generazione fa, ha ricordato Bologna, i paesi europei erano per la maggior parte «creditori» ecologici, in quanto utilizzavano meno risorse di quante la natura ne rigenerasse.

Fonte La Stampa 

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E’ strage nel Mar nero, il petrolio uccide 30.000 uccelli

15 Nov

 

petroliera12/11/2007 – Il disastro ambientale provocato dal naufragio delle 5 navi, cariche di zolfo, petrolio e materiali ferrosi, rischia di diventare ancora più grave perché l’Ucraina non sembra avere gli strumenti adeguati per intervenireIl WWF esprime grande preoccupazione per quanto avvenuto nelle acque del Mar Nero. 12 chilometri di costa russa sono invasi dal petrolio. Il disastro ambientale provocato dal naufragio delle 5 navi, cariche di zolfo, petrolio e materiali ferrosi, rischia di diventare ancora più grave perché l’Ucraina non sembra avere gli strumenti adeguati per affrontare e tamponare incidenti di questa portata.La raccolta del petrolio fuoriuscito è iniziata, ma la situazione meteorologica, con forte vento (fino a 29 metri al secondo) e tempesta persistenti, rende difficile ogni intervento. Ci vorranno uno o due giorni per quantificare la reale gravità del disastro, ma il bilancio è già grave: il WWF riferisce che, secondo le autorità russe, sarebbero almeno 30.000 gli uccelli morti e 12 i chilometri di costa russa invasi dal petrolio. La morfologia delle coste, caratterizzate da spiagge basse e sabbiose, rischia di peggiorare la situazione favorendo la penetrazione del petrolio verso l’entroterra. Minori preoccupazioni desta invece la situazione dello zolfo, racchiuso in container che dovrebbero garantire una certa tenuta.”Questo devastante incidente rischia di aggravare un’emergenza ambientale già conclamata nel Mar Nero, uno dei mari più inquinati e a rischio – dichiara Michele Candotti, segretario generale del WWF Italia – E’ un incidente che invita ancora una volta ad aprire gli occhi sui rischi del commercio del petrolio, di cui il mare, nonostante decenni di gravissimi disastri ambientali, rimane come sempre la vittima sacrificale”.”L’incidente è una conseguenza naturale quando navi costruite per i fiumi vengono fatte navigare in mare – ha spiegato Alexey Knizhnikov, responsabile del Programma Petrolio e gas del WWF Russia – Le navi da mare, infatti, non possono entrare nei fiumi Don e Volga a causa della scarsa portata d’acqua, e nello Stretto di Kerch trasferiscono i loro carichi su navi da fiume.Queste ultime, però, non sono in grado di sostenere la forza delle tempeste marine”.”Per minimizzare le conseguenze della fuoriuscita di petrolio nel mare – dichiara Oleg Tsaruk, responsabile del WWF Russia/Caucaso – è importante istituire un comitato permanente Russa-Ucraina che coordini i servizi d’emergenza dei due paesi, non solo per ripulire le dispersioni di petrolio, ma soprattutto per prevenire potenziali incidenti. Tutti erano stati avvertiti del sopraggiungere di una tempesta entro l’11 novembre, ma nessuno ha dato l’ordine di portare in posti sicuri le navi con carichi pericolosi”. Il WWF si augura che questo incidente porti all’adozione di una legge che garantisca la sicurezza delle operazioni di gestione del petrolio nei mari e nei fiumi, simili all’Oil Pollution Act adottato negli USA dopo il disastro ambientale della Exxon Valdez nel 1989.

wwf italia

Artico canadese mai così caldo

27 Ott

MELVILLE ISLAND, Canada — Non era mai accaduto, nell’arcipelago artico canadese, che la colonnina di mercurio toccasse più volte i 22 gradi. Eppure quest’estate è successo, e spesso. Con la conseguenza chei ghiacciai locali si sono ritirati e le isole sono state investite da colate di fango causate dallo scioglimento del permafrost.

Di solito nelle isole dell’estremo Nord le temperature estive rimangono intorno ai 5 gradi anche nei giorni più caldi. E i ghiacci non si sciolgono mai.

 

Ma durante l’estate 2007 è stato battuto ogni record: gli scienziati della Queen’s University dell’Ontario, mentre lavoravano sull’Isola di Melville, hanno rilevato medie intorno ai 13 gradi e massime che superavano i 20. E questo solo nel mese di luglio. A quanto pare, in agosto i termometri hanno segnato temperature anche superiori.

 

I ricercatori, coordinati da Scott Lamoureux, hanno poi cercato riscontro nelle foto satellitari. E hanno constatato uno spaventoso ritiro dei ghiacci che solitamente ricoprono l’arcipelago: si sono assottigliati e in alcuni punti, sono del tutto spariti.

 

“Questa regione sta andando a pezzi” ha commentato, durissimo, Lamoureux. Riferendosi in primo luogo al fango che ricopre le isole quando il permafrost, il sottosuolo perennemente ghiacciato, si riscalda troppo e perde le sue fattezze.

 

Purtroppo non si tratta di un fenomeno circoscritto. “Anche nelle altre zone dell’Artico, come la Siberia, questa è stata la stagione più calda degli ultimi tempi” ha confermato Welt Meir del Centro nazionale americano per il ghiaccio e la neve.

 

L’arcipelago artico canadese è composto da oltre 36.500 isole e si trova a nord del Canada.

MontagnaTv

 

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Criminali legalizzati

17 Ott

Come al solito, questo video contiene immagini che potrebbero turbarvi 

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‘SUMMIT’ POPOLI INDIGENI A DIFESA MADRE TERRA

14 Ott

LA PAZ – Sulla scia della dichiarazione sui diritti degli indigeni firmata un mese fa dall’Onu, i rappresentanti di un migliaio di popoli indigeni hanno approvato oggi nella localita’ boliviana di Chimore’ un documento che punta alla difesa dell’ ambiente e delle risorse naturali della ”Terra madre”. In coincidenza con la commemorazione dei 515 anni dalla scoperta dell’America, ”L’incontro per la vittoria storia degli indigeni del mondo”, chiuso oggi a Chimore’, ha dato via libera a un testo che sottolinea, tra l’altro, l’importanza dell’ integrazione dei diversi movimenti indigeni del pianeta nella lotta per il diritto alla terra e alle risorse naturali. Ad alcuni degli eventi del ”vertice” hanno preso parte il presidente boliviano, Evo Morales – primo capo dello stato indigena del Paese andino -, e il premio Nobel per la Pace 1992, Rigoberta Menchu’, la quale ha tra l’altro ricordato che ”ancora oggi, ci sono Paesi che non accettano concetti quali ‘popoli indigeni’ oppure ‘il diritto all’autodeterminazione”’. Ieri si e’ per esempio svolta una cerimonia a Tiwanaku, culla di una cultura pre-incaica risalente a 3.000 anni fa, dove gli amauta (guide spirituali) hanno offerto omaggi alla Pachamama, la terra madre in lingua quechua. Tra i rappresentanti presenti, un delegato dei comanches statunitensi, che ha criticato il voto contrario espresso da Washington – cosi’ come hanno fatto Canada e Nuova Zelanda – alla Dichiarazione sui diritti degli indigeni approvata all’Onu lo scorso 13 settembre dopo vent’anni di dibattiti. ”Negli Usa – ha precisato il delegato – sono 550 le tribu’ che chiedono all’amministrazione Usa di riconoscere i diritti degli indigeni, circa il 3% della popolazione totale del Paese”. Fra i Paesi dell’America Latina dove la tematica delle popolazioni indigeni e’ all’ordine del giorno spiccano l’Ecuador e l’Argentina. La quechua ecuatoriana Miriam Masaquiza ha per esempio ricordato il caso degli indigeni Sarayaku del suo Paese, che si rifiutano di autorizzare l’ingresso nelle proprie terre delle compagnie petrolifere. In Argentina sono d’altra parte circa 400 i contenziosi aperti con le autorita’ locali e centrali sul diritto alle terre, conflitti relativi al destino di una superficie totale pari a 8,6 milioni di ettari: un’area equivalente a 428 volte l’estensione della citta’ di Buenos Aires, ricorda un’inchiesta pubblicata oggi dal quotidiano ‘Pagina 12′. ”Ormai da anni sono molti i territori aborigeni dove gli indigeni vengono allontanati per lasciare il posto ai nuovi prodotti agro-industriali, in primo luogo la soia, oppure allo sfruttamento delle risorse minerarie e degli idrocarburi, oppure alle nuove strutture per il turismo, per esempio campi di golf e hotel”, rileva il quotidiano. In Cile il Consiglio di tutte le terre ha d’altra parte celebrato la Dichiarazione Onu approvata a settembre, proclamando ”l’autogoverno dei mapuches”, al fine di riaffermare i diritti di questo popolo indigeno ”in tutte le sue espressioni, dalla politica alla cultura, dalle istituzioni alla magistratura”. Su tali questioni oggi ha preso posizione anche Amnesty International (Ai), che in una nota ha chiesto ai governi e le societa’ di tutto il mondo di ”proteggere e difendere i diritti fondamentali dei popoli indigeni di fronte a politiche discriminatorie, conflitti armati e megaprogetti economici”. (ANSA). RIG
12/10/2007 18:39

ansa

Zuven (giovani) quì bisogna darsi una mossa vedo un futuro molto buio, poi manca solo l’asteroide e siamo a posto.

io

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